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Immagine del redattoreMosè Previti

Alvaro & Togo: Ritorno alle Origini



Messina è una città di mare, e il mare non è muro ma strada per raggiungere il mondo. Forse è giusto così. Quel mare fisico che un tempo era la ricchezza di un popolo orgoglioso, è diventato un mare di occasioni che Messina offre perché è città di partenze e non approdi, perché scuola e non vita piena, via matura. Per l’arte questo è stato particolarmente vero da sempre. I successi di Antonello e di Filippo Juvarra lo raccontano bene. Dal secondo dopo guerra le possibilità per gli artisti si sono aperte enormemente: un’Italia operosa, creativa e piena di speranza trovava nell’arte la rappresentazione di un momento di grazia. Messina affrontava la Ricostruzione guidata un’intellighenzia locale poliedrica e curiosa. Allora, c’era un piccolo gruppo di intellettuali e di artisti che non voleva rimanere indietro rispetto ai grandi sconvolgimenti avviati dal dialogo tra la millenaria cultura europea e la sgargiante produzione estetica americana. Tutto il Paese era acceso e Milano, come sempre nella storia della Penisola, era il fulcro di questo momento positivo. In questa città, i percorsi laterali della creatività e dell’arte trovano sempre cittadinanza, perché funzionali a un mondo operoso e competitivo che si nutre dell’apporto delle migliori intelligenze, delle volontà più caparbie.


Nel 1962 Togo e Alvaro sono entrambi a Milano. È un anno magico: i Beatles registrano il loro primo singolo, viene messo in orbita il primo satellite per le trasmissioni televisive e radiofoniche. È l’anno del Concilio Vaticano II, l’anno dorato di un’Italia straordinaria: il pil registra il suo record di sempre con + 8, 6 %. Togo e Alvaro sono partiti da Messina ventenni, con alle spalle l’avventura del Bar Nettuno: “la fronda ingenua” dei giovani pittori, alternativi agli universitari dell’Ospe. Nel capoluogo lombardo, i due hanno continuato a frequentarsi, in una proficua relazione, artistica e umana, testimoniata dalla bipersonale del 1982 alla Grifone Arte di Messina, e più avanti dalla mostra “Conversazioni” alla Permanente di Milano. Con “Origini” Alvaro e Togo tornano in riva allo Stretto per rinnovare un legame che non hanno mai perso, rinsaldato periodicamente dai soggiorni estivi e dai contatti personali. Certo è una questione di affetti e di ricordi ma è anche il ritorno alla scaturigine, al luogo da cui proviene l’identità della loro arte. Entrambi sono pittori, la loro ricerca si è sempre mossa all’interno di questa disciplina con un lungo e meticoloso lavoro che parte da una radice comune: la natura. Per “natura” intendo, e in senso ampio, quella particolare e potentissima della Sicilia, musa di una ricerca tra espressione e astrazione che, a partire dagli anni 50’, sedusse moltissimi artisti, di ogni latitudine, che la scoprivano grazie anche al lavoro seminale di intellettuali siciliani come Elio Vittorini.


La natura è il “genitore” ideale di entrambi, tuttavia le due personalità hanno seguito sviluppi diversi, con approcci diversi, ma con analoga profondità. Il “common sense” percepisce la pittura come momento di libertà, di espressione svincolata, quasi anarchica. Solo in piccolissima parte è così: per Alvaro e Togo vale pienamente la definizione di “ricercatori” che io qui propongo nello stesso senso che si attribuisce ai chimici molecolari, ai fisici teorici delle nano particelle. Per entrambi le forme sono un campo di sperimentazione illimitato, un “testo” dalle possibilità sempre rinnovabili. Naturalmente, non è la tecnica il fine di questa sperimentazione, piuttosto è l’arte a cui i due maestri fanno il filo: il filo tagliente di una capacità espressiva che connette forma e contenuto, intelletto ed emozione, natura e astrazione. L’origine e l’amicizia non deve confondere: i due maestri sono diversi. Alvaro è architetto meticoloso delle sue opere. L’artista progetta le forme aprendone il senso con un brio musicale giocoso, quasi mozartiano, rielabora i pattern decorativi e simbolici dell’empiria umana per proiettarli in un cosmo personale, un epos narrativo che nella perenne interrogazione dei limiti di segno creano suggestioni in cui anche la letteratura, altra passione di Alvaro, fa capolino con la trionfante provocazione polisemica della poesia. La ragione ordinatrice organizza queste forme a priori in un dinamismo morfologico che provoca continuamente la capacità dello spettatore di riconoscere i simboli del mondo per connetterli a nuovi livelli di senso. Questi nuovi percorsi iconologici dalla costruzione meticolosa, esito di un progetto preciso, giungono in luoghi misteriosi, familiari eppure inediti. Guardando le opere di Alvaro si palesa quel sentimento di stupore che sorprende il viaggiatore di fronte a paesaggi esotici in cui egli, dopo una sublime vertigine, cerca qualcosa del suo mondo, del suo habitat. Il viaggiatore cerca il conforto di un’analogia con la sua origine ma scopre presto qualcosa di molto più profondo e definitivamente incerto che lo accomuna al grande tutto dell’universo.



Questa familiarità aliena, ossimorica e cangiante è uno dei possibili effetti della pittura di Alvaro. Una pittura dal carattere eminentemente geometrico e cromatico ma molto lontana dalla fissità neoplastica e optical. Alvaro gioca con la simmetria, senza affidarsi mai totalmente a essa, piuttosto egli accenna soltanto alla stasi ortogonale, la tiene come parte di un gioco aperto di angoli inaspettati, dove la topografia delle forme vibra continuamente come le molecole di enti elementari che l’occhio indaga al microscopio. Per metodo e prassi Alvaro è l’apollineo della coppia. Realizza le sue opere dopo averle accuratamente progettate, alla fine di un preciso processo di composizione: Il suo è un lavoro intellettuale in cui la creazione è sottomessa al controllo, alla quieta consapevolezza del ragionamento e al suo tempo largo. Togo, invece, è il dionisiaco tra i due. Apollo e Dioniso sono gli dei della “Nascita della Tragedia” di Friedrich Nietzsche: i numi tutelari dell’arte e gli archetipi di due poli della psiche umana in continuo divenire, in perenne sintesi. Togo dipinge direttamente sulla tela. La sua è una pittura in cui l’energia psichica si manifesta con una forza piena di pathos. Un fremito panico incendia le sue composizioni, dove il dato naturale è accolto ed esaltato da un’espressione vitalistica che supera la nostalgia del ricordo e Il pessimismo della tragedia. La pittura di Togo ha un centro geografico ispiratore nel Mediterraneo ma egli lo attraversa con la potenza espressionistica del continente. L’esaltazione dei contrasti cromatici, il rovesciamento e la giustapposizione dei piani hanno la loro radice in un segno forte e al contempo duttilissimo. D’altra parte Togo è un maestro dell’incisione e dalla grafica, la sua sensibilità per la superficie della lastra ritorna nella sua pittura che non si concede mai una vera pausa, un campo astratto uniforme. Il segno di Togo è movimento, brulichio della vita che partecipa alla natura e in ogni opera ne cerca l’acme, il punto di gioiosa esplosione. La potenza di questa espressione però non diventa mai un’estasi cieca, un’allucinazione: il pittore la dipana in frammenti, la organizza nel rettangolo dell’opera come un regista farebbe con i suoi attori. Questi frammenti costudiscono la ricerca intellettuale di Togo, sono la prova delle interrogazioni che l’artista fa della pittura e dei suoi limiti.


Ma questo aspetto modernista di esaltazione e autocritica del mezzo espressivo (Greenberg) partecipa parimenti alla gioia sciabordante del colore, caratteristica inconfondibile dell’artista. “Lasciami, oh lasciami immergere l’anima nei colori; lasciami ingoiare il tramonto e bere l’arcobaleno” scriveva il poeta Khalil Gibran. Il colore di Togo è tutto in questa fusione del visto e dell’anima scossa, all’unisono in una percezione che elide il ragionamento: sole che ruggisce sul fertile mare, presenza metafisica della palma nell’aria grassa che esala, vento che infrange e schizza l’onda. Togo è dionisiaco e quindi panico e in perenne dialogo ditirambico con la verità tragica dell’esistenza. Alvaro pare guardare verso un mondo mentale dai contorni platonici e quindi intimamente impregnati del mistero delfico di un equilibrio che l’uomo cerca senza requie. Alvaro e Togo sono facce e anime di una stessa storia, figli di una grande cultura millenaria che è capace di accogliere gli opposti in una sintesi rinnovatrice. Nei loro ritorni c’è il tributo alla città che li ha visti partire, ma anche l’arricchimento per una comunità che ha bisogno di maestri in grado di confermare il valore delle origini e la necessità del loro superamento.


Mosè Previti

Testo per il catalogo della mostra:

"Ritorno alle Origini" di Togo & Alvaro

dal 5 luglio al 3 agosto 2019

Curatore del progetto "Opera al Centro": Giuseppe La Motta








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