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Immagine del redattoreMosè Previti

La società del controllo




Milan Kundera è noto per il fortunato titolo del suo libro “L’insostenibile leggerezza dell’essere” che però non ho avuto il piacere di leggere. Ho letto, invece, “Lo scherzo”, libro meno noto ma che io ritengo molto significativo.


Intanto, lo stile di Kundera è uno stile da grande scrittore. Asciutto, essenziale, incisivo, un naturale talento sostenuto da una vita vissuta, o pensata con grande profondità. La sua scrittura ha la forza efficace, eppure favolosa e atemporale, di Joseph Roth o di Franz Kafka. Scrittori geograficamente affini all’ambiente di Kundera.


Ma l’aspetto più significativo di questo autore è l’aver reso testimonianza della vita dentro un regime. L’arte riesce a trasformare le esperienze individuali in paradigmi universali, così se un romanzo può essere considerato solo latamente una fonte storica, dal punto di vista umano, psicologico e culturale è una testimonianza cruciale.

Il regime socialista della Cecoslovacchia in cui crebbe Kundera era una società rigida in cui il controllo totale delle opinioni, delle inclinazioni, delle idee e dei sentimenti da parte del “potere” raggiunse livelli parossistici, talvolta ridicoli, se ridicolo può dirsi una forma di oppressione tanto crudele.


Leggere lo “Scherzo” e considerarlo come il racconto di un mondo distante e diverso è sostanzialmente inutile. L’opera non è fantastica né storiografica, il suo valore è assai più ampio. Kundera, come Primo Levi, Solženicyn e i tutti gli altri autori – testimoni, racconta essenzialmente di una forma peculiare dell’organizzazione umana, una forma non storica ma antropologica: la forma del controllo oppressivo.


Se una certa percentuale di gestione coordinata e organizzata delle attività umana è necessaria e auspicabile per la vita sociale, il controllo da parte di un gruppo di privilegiati sulla maggioranza ne rappresenta una sclerotizzazione drammatica. La società industriale è società controllata, organizzata, coatta. Il suo funzionamento dipende dal prevalere assoluto, monocratico, di una sola legge: al minimo sforzo, deve corrispondere il massimo profitto.


In natura questa ontologia è quasi del tutto assente, anzi siamo di fronte ad una quantità di fenomeni, strutture e accidenti che fanno della ridondanza costante il loro aspetto fondamentale. In tempi di “ritorno alla natura” vediamo, invece, quanto si moltiplichino le agenzie e i dispositivi di controllo, misurazione e classificazione di ogni aspetto della realtà.


Internet, le organizzazioni politiche e finanziarie sovrannazionali lavorano costantemente per aumentare la percentuale di controllo sulle attività umane. Vi è la convinzione che il controllore sia in grado di interpretare la realtà e operare per il bene della collettività. Chi si fa interprete di questo bene comune appartiene a una gerarchia burocratica che non è prodotta dalla democrazia: il presidente della banca centrale non è eletto dal popolo, non è eletta neanche la commissione europea e il 100% delle decisioni che impattano sulle strutture di internet avviene al di fuori di una partecipazione effettiva e consapevole.


La società occidentale è diventata società del controllo. Il controllo dei mezzi di produzione e da parte degli organismi regolatori si è esteso anche al controllo sulla vita privata degli individui, le loro scelte in materia sanitaria, in materia di opinioni e di libertà di movimento. In questo senso, la gestione del Covid è stato il culmine di un processo già ampiamente avviato.


Nonostante i danni devastanti in termini psicologici, pare chiare che il regime concentrazionario della quarantena di massa può tornare in qualsiasi momento. Anzi, è opportuno rilevare come gli “effetti del controllo” sulla psiche siano ora il principale campo di interesse da parte di molti attori economici e politici.


Recentemente, è stato riportato[1] che la piattaforma social TikTok ha due diversi algoritmi in base agli utenti. L’algoritmo del Tik Tok cinese promuove contenuti di scienza, tecnica e cultura, mentre il Tik Tok “occidentale” promuove contenuti “leggeri” destinati al puro intrattenimento, non di rado con effetti negativi soprattutto per la psiche degli utenti più giovani.


Non è difficile ipotizzare che le altre piattaforme social sono ugualmente coinvolte in attività analoghe.. Anche se costoro avessero le migliori intensioni, a nessuno può essere dato il potere di controllare la collettività con il grado di pervasività che questi mezzi consentono.


Nella società umana i regimi oppressivi sono sempre esistiti, via più raffinati, come via via più larghe sono state le libertà e i diritti che la collettività, in alcune parti del mondo, ha conquistato. Questi diritti e queste libertà che si ritenevano ormai per garantite sono, invece, costantemente incalzate dai decisori politici che i da almeno vent’anni hanno avviato un’estesa campagna di involuzione e limitazione del benessere collettivo.


Nell’Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e altri ancora. Ma deve essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità”. Tommaso Padoa – Schioppa, Da “Berlino e Parigi ritorno alla realtà”, Corriere della Sera, 26 agosto 2003, p. 1.


Le parole di Padoa Schioppa sono un vero e proprio manifesto della società del controllo incipiente. Vi è un richiamo quasi biblico a una condizione umana post edenica in cui “i rovesci della fortuna” hanno il compito di far tornare in gloria la “durezza del vivere” contro cui si batte la nostra specie da oltre 100 mila anni.


Perché l’individuo deve essere allontanato dalle oggettive condizioni avverse? Chi decide le sanzioni, i premi e le punizioni? Chi ha il potere di determinare l’assetto di questa società della “durezza”? La risposta è semplice, perché è scritta nella storia: i potenti, i decisori, i controllori, i propagandisti della sofferenza che della sofferenza e della sua ideologia monofasica, autistica e totalitaria sono fieri paladini. Questo richiamo sacerdotale, da cui ovviamente sono esclusi i sacerdoti della “durezza”, è massimamente esemplificativo della nefandezza ideologica di un’era, che ben lungi dall’essere conclusa, continua il suo processo di distruzione.


Tornano quindi le etichette per formare il nemico e de-umanizzarlo. Le parole vengono usate per distruggere e offendere chi non obbedisce all’unica opinione valida, l’unica verità accettata: l’eretico, il negazionista, il seminalfabeta. L’etichettatura consente di evitare qualsiasi confronto sui dubbi e le questioni sollevate che non vengono affrontate, l’attacco da ideologico diventa personale, con tono razzisti, atteggiamenti persecutori sia sui mezzi di informazione sia con i dispositivi di legge atti a conformare gli individui al diktat dei controllori.


Non vi è in questo processo una coefficiente politico ideologico riconoscibile e se vi fosse esso sarebbe solo il riflesso di una strategia di comunicazione volta a coinvolgere questo o quel utente/consumatore. L’istaurazione di un regime di controllo oppressivo è un processo umano che ha contraddistinto il 99% della storia umana. Contro questo controllo la civiltà occidentale ha compiuto passi decisivi che hanno consentito una profonda messa in discussione di questa tendenza ben salda dentro la psiche storica e sociale della nostra specie.


Non vi è emergenza, allarme, crisi economica, sanitaria, climatica, non può esserci nessuno momento della vita della comunità umana in cui alcuni individui possano arrogarsi il diritto di decidere della vita degli altri. Non c’è nessuna guerra che sia giusto combattere quando chi l’ha decisa, prodotta e organizzata considera la carne degli uomini e la loro esistenza come uno muro, una pietra, una cosa su cui scagliare la durezza del dolore che nessuno vorrebbe per sé.


Non c’è, né può esserci sacerdote del dolore altrui che sia credibile, né dignitoso. Il sacrificio invocato questi prelati esangui non è che uno strumento di rafforzamento del dominio dei pochi sui molti: paura e ossessione sono gli ingredienti di questa millenaria ricetta. I mezzi d’oggi la rendono più pervasiva e infida, ma lo scopo è sempre lo stesso: instillare il timore della fine, ossessionare con l’idea di una catastrofe o di un castigo, imporre un modo di vedere la realtà, segregare e distruggere ogni forma di libertà e opposizione.



Mosè Previti

Riproduzione Riservata

[1] Figlia del capitalismo politico di Pechino, TikTok insidia il primato americano nello spazio digitale. Dotato di un algoritmo estremamente preciso, abile nella raccolta dei dati e in grado di attrarre giovani utenti, l’applicazione cinese minaccia direttamente il fattore umano statunitense. Promuovendo contenuti che ostentano uno stile di vita consumistico e individualista, TikTok intende infatti accelerare la tempesta americana, spingendo i giovani verso l’economicismo e il post storicismo”, G. De Ruva, TikTok vs Silincon Valley, in Limes, 4/2023, p. 142.


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