Angelo Savasta ha il profilo ulissiaco dell’eterno viaggiatore. Un irrequieto giovanile entusiasmo lo anima mentre racconta delle sue molte passioni. Musicista, capitano e pittore ancora oggi si muove nel suo studio con quell’energia tipica di chi sa stare sulle montagne liquide dell’oceano giocando coi marosi. Le conversazioni con lui possono imprevedibilmente avvitarsi nel gorgo politico e poi fiorire nella lunga memoria che sa molte cose degli uomini, delle terre lontane e della propria Itaca. Il suo percorso è esistenzialmente e concettualmente un viaggio. Angelo Savasta, da buon discendente dei Greci, ha le qualità dell’aedo e sa come intrecciare città e scoperte in un filo che non si esaurisce. Non è facile seguirlo nel pellegrinare tra date, nomi e scoperte. Soffia sulle sue vele il re Eolo, semidio indomabile e imprevisto che spazza i mari e i cieli, padrone delle Isole omonime: il paradiso dove l’artista per lungo tempo ha sperimento e incontrato gli uomini e le cose dell’arte lavorando a un proprio figurativo mediterraneo, poi felicemente superato. Eolo è vorticoso e si avvita indomabile, Savasta nel suo percorso ha quindi tentato di afferrarlo tracciandone gli artigli colorati sulle tele. La mostra alla Fondazione Mazzullo (2016) rappresentava proprio questo momento in cui il porto sicuro delle case e dei dolci tetti baciati dal sole veniva scalzato dalla forza dinamica e sensuale della curva moltiplicata e scomposta: pura forma, geometria dinamica. Quei riccioli acuti e caleidoscopici già astraevano il paesaggio, gli odori, il sole e il sottile senso del tutto che il vento scompagina sempre nel suo perenne divenire. Il dato figurativo, abolito, sembrava aver gettato nella bufera delle possibilità creative questo artista che vi si gettava con epica decisione ma anche con una moderna leggerezza. Seguendo le traiettorie delle linee impennanti, ora Savasta sembra aver aperto le porte di un viaggio ignaro della gravità: il suo è ormai un percorso astrale negli spazi cosmici. I suoi cunei colorati penetrano il buio delle galassie come fari laser o anime in viaggio: siamo nella libertà dell’interpretazione, nell’onda di un nuovo racconto. Queste presenze partite dal mare ora si allungano nel mistero. L’artista ha tagliato tutti i ponti, prepara nuove mitologie in questo percorso, dove i corpi celesti vengono abbracciati, attaccati e avvolti da fasci luminosi. L’immaginazione liberata qui suona più che parlare. L’epica spaziale ha il bordone continuo e trascendente della musica di Eno, Savasta cavalca la velocità della luce, c’è uno slancio gotico e barocco verso il buio trascendentale, verso ciò che è nascosto alla ragione analitica ma che l’artista sa inventare. L’indizio della luce pare pertinente, sia dal punto di vista interpretativo sia dal punto di vista formale. Non stiamo guardando un’immagine meccanica, la spuma delle stelle si sfrangia in velature gassose che animano l’equilibrio delle sue composizioni. Però non è finita qui. L’artista polarizza i temi della sua ricerca: dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo. Precipitiamo per atterrare morbidamente sulla tela del ragno: il regno molecolare ci accoglie. Un altro salto nell’ignoto, un altro territorio sconosciuto che Savasta esplora con la consueta curiosità verso i mostri ciclopici, guardiani delle dimensioni atomiche. Allora diventa evidente che Savasta non sta cercando Itaca del buon riposo, la sua arte è un abbandono definitivo al movimento del viaggio in tutte le possibili direzioni. L’arista non sembra stancarsi mai del suo “remo” creativo, guardando sempre oltre, porta lo spettatore in una parabola cosmica che custodisce il senso della vita.
Mosè Previti
Testo critico per la mostra "Da Eolo a Sirio"
dal 30 novembre all'11 dicembre 2018
Teatro Vittorio Emanuele di Messina
Progetto "Opera al Centro" di Giuseppe La Motta
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