“Pitto quindi sono”. Riprendo il titolo del libro perché, come tutti i titoli, come tutti i nomi delle cose, rappresenta la guida, la parola che svela il senso. “Pitto quindi sono”, dipingo quindi esisto, sembra un buono slogan editoriale ma è anche una coerente dichiarazione esistenziale e artistica. Ed è una dichiarazione che, nella sua semplicità disarmante, è di disarmante opposizione alla realtà. Cartesio, il grande autistico del pensiero occidentale, apre la modernità con il pensiero calcolante, mentale, non corporale, del “Cogito”: penso-quindi-esisto. Qui Curcio, con le mani in tasca e la birra in mano, fischiettando dice un'altra cosa: io creo, io sento, io vivo quindi esisto. Non vi è nulla di titanico, nulla di sovrumano, insomma nulla di arrogante. L’arte contemporanea è nata nel segno dell’arroganza, della ribellione allo champagne dei buoni pittori francesi lautamente sostenuti dalla bella borghesia di una volta. Antonio Curcio è, invece, un altro tipo di artista e la sua arte è un altro tipo di arte. La sua “persona”, la sua “maschera” appartiene agli abitatori delle taverne, che pure sono presenti nell’epopea dell’arte francese dell’Ottocento, ma che non ha nulla di drammatico, epico. Il B1 di Curcio vive la realtà con disarmante amore e con potente lucidità. Questo libro lo dimostra benissimo: scritto in un italiano chiaro, semplice e diretto, che non rinuncia a degli slanci di vera e propria poesia urbana, “Pitto ero Sum – Storie di B1” è un’ottima guida per capire il fermento artistico della Palermo contemporanea.
Spiegando se stesso e la sua arte, Curcio spiega la capitale siciliana nel suo momento di trasformazione e apertura al mondo globale. L’arte di Palermo è, innanzitutto, arte pubblica. Non potrebbe essere diversamente perché chi ha delle frequentazioni con questa città riconosce che la dimensione vitale di Palermo è la strada, il gran teatro di architettura e di uomini che travolge il visitatore con una feroce e folle carica esistenziale. B1 abita questi spazi, frequenta, sente lo spirito della città e lo rappresenta, ne è un testimone ironico ed empatico. Ci guarda con due grandi occhi, consapevole della miseria della condizione umana e della bellezza della vita. Nei passaggi del libro quindi, Curcio porta il lettore in un “giretto” tra il tempo e lo spazio di Palermo. Lo stereotipo tanto caro al turista qui non ha cittadinanza. E anche lo scrittore commerciale, pubblicitario o giornalista che sia, deve deporre le sue armi omologanti per accettare la realtà. Il discorso sulla Sicilia o la sicilianità non ha più senso. B1 potrebbe essere parigino, berlinese, londinese o romano. In realtà la sua è una vita universale, la vita di tutti, che nel particolare, nel dettaglio dell’icona rianimata, della mattonella parlante, della cantina divenuta galleria d’arte, riesce a restituire e amplificare quell’umanità del sentire, dell’amare e del vivere che nell’arte trova l’ultimo appiglio per sopportare la marea.
Di questo libro amo la verità, parca, dolciastra del mondo reale, fuori dai minimi e ridicoli successi che teniamo davanti come la carota mentre il padrone picchia col bastone. B1 è uno di quei personaggi che d’un tratto, quasi domesticamente, ma con forza di fratello e di amico, sputa la carota e rompe il bastone. B1 è l’uomo di oggi disperso nelle periferie, risucchiato nel vortice delle metropoli, stressato dalla follia del tempo ma che è in grado di rompere il muro con la poesia, fermare il treno con il pennello, stringerti con uno sguardo, con un consiglio, per renderti almeno per un attimo, veramente vivo.
Mosè Previti
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