Gli artisti professionisti vivono del loro lavoro. Nella maggior parte dei casi, devono passare diversi anni prima che la carriera generi profitti in grado di sostenerli. Talvolta questo non accade mai. L’artista deve lavorare in altri campi, campare di altre cose.
Alcuni rifiutano categoricamente di dedicarsi ad altro, inoltrandosi in una vita che è una specie di sacerdozio per l’arte. Uno dei pionieri di questo atteggiamento fu il grande avo dell’arte contemporanea: Cezanne. In lui si fonde l’anelito romantico del genio e la disciplina estrema della bottega d’arte, un luogo durissimo dove lavorare significava dare anima e corpo, in maniera ossessiva, rigidissima, spesso in nome di una perfezione formale tutta interna al dibattito dei maestri stessi.
Ma per fare arte oggi conviene essere un artista professionista o fare il doganiere, Il carabiniere, il postino? Cosa è meglio, dare tutto il tempo all’arte o dare all’arte il tempo a disposizione? Una sorprendete risposta arriva da Roger Fry, uno dei più acuti e colti critici d’arte del XX secolo.
“Vi sono innumerevoli professioni, oltre quelle decisamente artistiche, che, esercitata e in poche ore, lascerebbero a un uomo la libertà di dedicarsi, a suo agio, ad altre vocazioni. La maggior parte dei poeti oggi sono artisti in questo modo: è difficile che uno possa trarre dalla poesia mezzi di sussistenza e i nostri poeti sono, prima di tutto, impiegati, critici, funzionari o portalettere. E, a mio parere, non sarebbe indubbiamente una grave perdita per la collettività se l’artista pittore puro fosse nella stessa condizione. Questo vorrebbe dire che tutti i nostri quadri sarebbero creati da appassionati ed è facile supporre che ciò non sarebbe una perdita, bensì, un grande vantaggio. Probabilmente un pittore troverebbe di che vivere da qualche professione in cui i suoi talenti artistici sarebbero costantemente impiegati, sebbene con una tensione morale e in un modo più umile”[1].
In fondo, la vera domanda è sui risultati, non su come questi sono raggiunti. La qualità di questi risultati dipende da tanti fattori che non esaminerò in questo post. Tuttavia, molti artisti si ritengono realizzati se sono economicamente emancipati e riconosciuti come tali in un ambiente sufficientemente ampio e qualificato. Molti altri, invece, si accontentano di piacere. In loro non c’è una ricerca estetica ma il desiderio di essere riconosciuti come esseri umani, il desiderio di ricevere attenzione, anche in una dimensione provinciale, domestica. Il punto, anche qui, non sta nella motivazione, ma nel risultato. E questo è tutto un altro argomento.
Art + Communication
[1] Roger Fry, Visione e Disegno, 2020, p. 61.
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