Mi piace, non mi piace. Il più antico e longevo modo di guardare l’arte e anche quello che, ancora oggi, va per la maggiore. Ma è quello giusto? Non ci sono criteri da somministrare come ricette d’ortodossia estetica. In più, quando si tratta di collezionisti, quelli che la storia dell’arte la pagano, ognuno è libero di scegliere e quello più gli aggrada. Ma è il modo giusto di guardare l’arte, è il modo esaustivo, completo?
Perché certi artisti dotatissimi rimangono fuori dalla storia dimenticati e certi altri, anche un po’ mediocri, sono ancora oggi alla ribalta? Nessuno ha le chiavi del successo. Malgrado ci siano molti studi al riguardo, il controllo totale di una carriera perfettamente riuscita non esiste. Per noi che guardiamo e entriamo in relazione con un’opera d’arte un giudizio spontaneo è naturale ma dobbiamo sforzarci anche di considerarlo al di là dei nostri gusti, del nostro umore e del nostro atteggiamento.
Dal punto di vista dell’arte contemporanea, un’opera d’arte d’interesse è connotata di un certo grado di innovazione estetica e culturale, in grado di cogliere lo spirito del tempo e proiettarlo in spazi nuovi, inediti. L’arte contemporanea rappresenta il presente ma è anche in grado di forzarne, con struttura e profondità di pensiero, gli aspetti più peculiari, controversi. Si tratta, in sostanza, di una ricerca dove il dato intellettuale, e questo è un dato di fatto e non un mio parare personale, è molto più importante di quello emotivo o meramente percettivo. Non sempre, ma nella maggior parte dei casi.
Dunque, cosa sono questi criteri critici? Un modo di guardare l’arte che per forza di cose genera un giudizio ma che tuttavia è diverso e distante dalle categorie di bello – brutto, buono cattivo, un giudizio globale che cerca di integrare l’opera dentro il nostro tempo e la nostra esperienza personale ed esistenziale in relazione ad essa.
Mosè Previti
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