Domenico Gnoli è un bravissimo pittore. La sua mostra alla Fondazione Prada è coerente perché rende giustizia all’impegno e al talento ma anche perché i soggetti della sua produzione sono in perfetto accordo con Prada e il suo ruolo d’industria e di produttore “comunicazione visiva”, nonché di collezionista dell’artista.
Gnoli è un pittore forte, di mestiere, con una grande consapevolezza iconografica. In lui ci sono tracce di affluenti imprevisti: Klee, ancora latamente presente nelle illustrazioni, Fautrier per la sottile materia pittorica dei suo dipinti. Quest’ultimo è ancora più inaspettato perché antitetico rispetto al modo in cui l’artista dipinge nella sua fase matura, ma alla fine di quel pasticcio gessoso e colloso francese rimane un finissimo strato di sabbia, che è poi la caratteristica tecnica fondamentale della pittura di Gnoli.
Domenico Gnoli ha fatto degli oggetti, dei tessuti, dei dettagli il campo d’espressione della sua pittura. Il suo non è naturalismo, non è realismo. La sua è una ricerca integralmente pittorica, dove nella minuziosa resa del reale c’è il piacere maniacale del gesto pittorico perfetto, dell’infingimento, capello per capello della realtà, pitturata però. Una sua grande passione sono i tessuti, ben stirati, lisi, perfetti, imbalsamati.
E Gnoli pettina anche le sopracciglia, con maniera quasi da colonna tortile, da scultore. Il divertimento, la mania, il piacere libidinoso del pennello sembra incontenibile. Questo immobilismo metafisico della vita rappresentata piuttosto che farci vedere la realtà, la ricopre. Il suo è un ri-velamento, nel senso che il mostrarsi della pittura in tutto il suo potere evocativo, nasconde l’oggetto che stiamo vedendo e, talvolta, riesce ad alludere a qualcos’altro come il cassetto aperto (Open Drawer, 1968). Talvolta, invece il ri-velamento, cioè che viene coperto, viene svelato, ironicamente e sottilmente esaltato come in (Inverno, 1967).
In Gnoli la pittura, immobile, scultorea, italiana, mostra tutto il suo potere sacro, ieratico, conturbante ma che può stancare però. La meraviglia di questi macro divani e macro tessuti, molto abilmente comunicativa e pubblicitaria, è bella ma poi si indebolisce, perché si mischia con il gigantismo della comunicazione visiva contemporanea, che è martellante e perenne e che sta stancando.
Per penetrare meglio Gnoli, al primo piano della Fondazione, c’è tutto il suo primo periodo di illustratore, di narratore. Il periodo primigenio, più infantile ma anche quello più dinamico, conturbante, ricco di tutte le indecisioni, gli sforzi di una vena immaginifica notevole.
Nel complesso, la mostra riesce a restituire la personalità di questo artista e il suo talento, probabilmente anche molto più articolato di quello che un solo evento espositivo può riuscire a rappresentare. Da vedere.
Mosè Previti
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