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Immagine del redattoreMosè Previti

Fadibè: Un messaggero


Preghiera, 2013, acrilico su tela, 70 x 50 cm.

Fabio Di Bella ha occhi entusiasti, spiritati. Sulla copertina del manifesto del Neovisionismo indossa un paio di occhiali scuri con il tre di spade e l’asso di coppe sulle lenti. Lo sguardo dell’artista è celato, non sia mai che, come per quello della Medusa, lo spettatore ne venga incenerito. Quei due simboli, o semi, o arcani minori, sono parlanti, sono la genesi di un mondo. Al riguardante è richiesto di mettersi subito in questa traiettoria di visione, di provare questa supervista simbolica costruttrice di senso. Non è forse il tre di spade una versione da gioco del Monogramma di Cristo? Non è forse l’Asso di Coppe il simbolo antichissimo del femminino, della maternità, del grembo di Maria, del Graal? Maschile e femminile, archetipi dell’Universale sono in questa immagine simbolicamente riuniti.



Resurrezione, 2013, acrilico su tela, 130 x 190 cm.

Fabio Di Bella è un grandissimo conoscitore del mondo delle carte siciliane, le ha studiate per anni, ne conosce la storia, soprattutto ne conosce le trame esoteriche che egli fin dall’inizio del suo percorso utilizza come linguaggio all’interno delle sue opere. Per linguaggio intendo proprio quello delle parole, quello delle dichiarazioni che affida alle combinazioni delle carte sulla tela. Tuttavia, l’artista non è interessato a rendere palese il suo cifrario, le sue tele, così come le sue grafiche, sono innanzitutto trame poetiche, fatti di bellezza. Lo spettatore viene subito sedotto dalle sagome regali delle dame e dei regnanti verdi e rossi, e non può fare a meno di seguirli in mondo onirico, avviluppato di un’immaginazione sorprendente. Fabio Di Bella è un eclettico, nel nutrimento dei suoi riferimenti figurativi e stilistici, nell’estrosità della sua tecnica. Nella sua pittura, ogni tela si apre su un come un mondo autonomo, e tela dopo tela, tutta la sua opera danza una musica ardente e ipnotica (Movimento, 2007), che vuole smaterializzarsi, che vuole trascendere. In un’altra epoca Fabio Di Bella sarebbe stato un mistico (Sephirot B zero, 2013), un compagno di El Greco, un confrate di Beato Angelico, prima che le ragioni dichiarate nel manifesto del Neovisionismo, per la sua natura intrinseca di uomo. Egli è come lo scalatore in Campo Grigio (2013), un coraggioso esploratore dell’enormità dell’ignoto, del sacro, del mistero, di Dio. La ricerca del sacro è il punto fermo su cui ruota la sua vena creativa multiforme: dal rigore minimale e materico della Goccia bianca (2013) passando per l’horror vacui pietroso, e quindi mantegnesco, della Resurrezione (2013), la ricerca vorticosa di Fadibe ha lo spirito come protagonista assoluto. I suoi paesaggi dell’anima, che si servono delle carte da gioco come metafisiche costruzioni sulle Piazze d’Italia, ripropongono nella realtà quel processo combinatorio dell’arte come creazione, come ordine, come imitazione di Dio, che l’arte mercato sembra aver smarrito per una ricerca episodica, una strategia di espedienti rilegata ad una critica compiacente del quotidiano.


Preghiera, 2013, acrilico su tela, 70 x 50 cm.

Il nostro tempo sembra essersi bloccato nell’istantanea dell’immagine virtuale, nella pornografia della rappresentazione senza pudori di ogni cosa. Sia esso un fatto ridicolo o drammatico, dal ventre senza fondo della comunicazione digitale risale un grigio e indistinto rumore di fondo. Fadibe lo ignora sistematicamente, la sua arte è ancora un credo, una profetica e cocciuta ricerca intorno al sacro, all’Ottava Chiesa: un tentativo di riunire l’ecclesia degli uomini, senza distinzioni di credo, di razza, di mezzi di sussistenze, uno sforzo totalizzante in grado di riunire l’uomo con tutta la sua unica e sorprendente fragilità. Così, le sue tele e le sue grafiche sembrano superfici magiche in cui si è impressa l’energia elettromagnetica degli arcobaleni, degli atomi di cui sono composte le parole pronunciate dai poeti nei racconti mitici (La nascita della Sicilia), o nei sogni ad occhi aperti degli architetti a caccia dell’Assoluto (Modulo). Immergersi in questa materia cangiante e multiforme è, per certi versi, abbastanza scioccante. Così come per l’ultima serie, Fluò, Fadibe non lavora mai a immagini semplici. Le sue opere sono come racconti surreali in cui non è il lettore a leggere, ma sono le parole a cercare dentro di lui la storia, smontandone pezzo per pezzo le certezze sullo spazio, il movimento, la consistenza di ciò che l’occhio crede di vedere. Si tratta d’incendi, di lampi, di messe in scena che abbagliano lo spettatore con il fragore della luce che buttò Paolo da cavallo, oppure, viceversa, lo immobilizzano nel silenzio contemplativo della materia in cui si è incarnato la divinità (Chi-Rho, 2012). Vasta e densa è l’arte di Fadibe, il suo respiro si volge con il ritmo sovrannaturale della musica sinfonica, l’uomo apra gli occhi e il cuore, forse il sacro ha trovato un nuovo messaggero.


Mosè Previti

Testo per il catalogo della mostra

"Neovisionismo - Sacro Contemporaneo"

Camera di Commercio di Messina

dal 10 dicembre 2016 al 10 gennaio

Riproduzione Riservata



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