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Immagine del redattoreMosè Previti

Giuseppe Geraci: Paesaggi a modo mio



Giuseppe Geraci è architetto, maestro orafo, scultore e pittore. L’artista ha lavorato in tutti questi campi per oltre quarant’anni con un’intensa produzione testimoniata da progetti, mostre, rassegne e pubblicazioni. Un’attività eclettica quanto organica, nettamente segnata da un’estetica molto definita e coerente. Gli elementi della sua poetica sono certamente agganciati alle grandi elaborazioni della cultura artistica italiana del ‘900, al momento di Arte Concreta, ma ancora di più a quella idea di opera d’arte come esito di un ponderato progetto che, ancora oggi, è uno dei pilastri della produzione estetica del nostro Paese. L’idea del progetto discende dalla sua formazione di architetto (Palermo, 1973) e dalla pratica iniziale presso lo studio palermitano di Roberto Calandra, uno dei personaggi chiave dell’architettura e della cultura siciliana tra Fascismo e Ricostruzione. Tuttavia, la certezza dell’operare secondo una definizione netta di idee e di obiettivi, discende anche dal carattere personale che predilige la chiarezza del dire e del pensare, secondo quella vecchia scuola di uomini e di artisti che per lungo tempo hanno tenuto alto il nome della nostra cultura. Etica ed estetica, come sempre, viaggiano appaiati: Geraci è geometrico nella scansione dello spazio, è spaziale nell’espressione del suo segno, perché assoluto nel pensare e nel chiarire quello che esattamente vuole esprimere, guidando cristallinamente l’opera in un linguaggio che sa dove si va a parare.



I suoi cicli pittorici giovanili, nati sul tavolo da disegno dell’architetto, sono il frutto di un rapporto tra la linea e la materia dell’acciaio, il temperamento emotivo del colore, in tinte moderne, eleganti. In quel momento di pura astrazione, Geraci progettava l’espressione una sintesi ritmica di rapporti tra le masse, tensioni della linea e pause dei volumi che era musicalmente risolta in un’immagine non narrativa, concettuale, eppure allusiva alle tensioni dell’animo, al divenire dell’esistenza. C’era in questa partenza la sua personale attitudine e lo strabordante eredità tecnica del modernismo, ma anche un piacere del fare artigianale, del toccare e del creare a contatto con la materia che l’artista ha dimostrato anche nella sua produzione di gioielli in oro: oro materia per eccellenza, il massimo grado simbolico della sostanza naturale. L’arte di Geraci, infatti, non è solo il prodotto di un lavoro mentale, di un alto esercizio della ragione e della tecnica. Geraci porta nei suoi lavori un orizzonte di sensazioni, di riflessioni sull’esistenza, usa le forme geometriche, le tangenze, le scale, per raccontare precisi concetti, precisi fatti della vita che astrae in forme universali. Il suo non è uno scranno apollineo che resiste anestetizzato allo scorrere del tempo. La sua metafisica è sensibile, fragile e forte insieme nell’apertura, nell’espressione di un disagio, di un dubbio, di un fremito, attraverso un linguaggio che è sempre parimenti architettonico e pittorico. Nella pittura dell’ultimo decennio questo è stato particolarmente evidente nelle opere del ciclo Nonsoloarchitettura (2009), dove l’artista esplicitava il personale momento di confronto con il mondo e con l’inesorabile scorrere del tempo. Sul tappeto c’erano anche i temi della città come spazio di creazione liberato dall’ortodossia della linea edilizia, il rapporto con la propria famiglia, la fede come punto di irraggiamento di una salvazione d’anima ma anche come prospettiva mentale e pratica dell’esistenza. Sottile e persistente, in quel ciclo, come in tutta la sua produzione, era il territorio, il paesaggio, lo spazio fisico e geografico dello Stretto e dell’Isola.



Si tratta del tema portante di questa mostra, l’ultima evoluzione della sua poetica che qui arriva a confrontarsi con la meravigliosa potenza della natura, con l’irresistibile ricchezza della realtà attivando, more solito, quella sintesi in cui comprensione razionale, cartesiana, e sguardo psicologico individuale camminano insieme. Sospetto che l’artista abbia costruito questo ciclo volendo produrre la summa di tutta la sua esperienza, di tutti gli elementi del suo linguaggio. Infatti, in questi “paesaggi” c’è tutto: l’oro dei suoi gioielli, la scansione prospettica dello spazio della sua architettura, il colore come campitura, come risultato delle caratteristiche dei materiali tipico della sua pittura. Si tratta di un ciclo tutto a levare, su una paletta minima di colori, dove persiste la composizione geometrica, l’incastro simbolico delle circonferenze ma appare chiaro e dominante il mondo naturale. Il suo è uno sguardo di meraviglia, di accettazione, di struggente empatia di fronte alla perfezione dello spazio che egli interpreta con cura meticolosa nella composizione, nel netto confronto tra i profili degli elementi. Nell’opera “copertina” di questa esposizione l’artista ha equilibrato la composizione con un rigore fedelmente aderente al dato reale. Subito l’occhio riconosce il profilo del paesaggio marino e urbano insieme della città di Messina. Un grande albero giganteggia sul lato sinistro dell’opera, la foglia oro crea un margine che incontra il mare gentilmente, nonostante il diaframma di linee a ringhiera che sale con accorta tensione verso destra. Lo sguardo supera lo spazio bidimensionale delle due campiture contrastanti in una prospettiva che giunge al mare calmo e poi alla silhouette della Falce e alla Madonnina, e ancora oltre fino al profilo delle montagne calabresi. L’albero ha foglie, non è solo una massa, è cosa naturale, nel dettaglio l’artista si lascia al piacere di mostrare la sua essenza di essere vivente, fuori dalla sintesi, segno di un ulteriore sconfinamento oltre la sua prassi. In un’altra opera Geraci sviluppa la prospettiva su una grande campitura rossa netta, oro e un blu nereggiante si inseguono con una linea che serpeggiando si allungano verso l’orizzonte. Non ci sono che pochi elementi a costruire la profondità, è tutto un tranello a suggerire la possibilità di un attraversamento, di un cammino verso il tramonto che esplode con il suo fuoco. Questi paesaggi rosseggianti e vitali si alternano alle composizioni geometriche pure, dove a dominare è il cerchio, ente geometrico che più di ogni altro ha in sé la dualità, gli opposti di tensione e rilassamento, propulsione e caduta, costruzione e decostruzione, in una scala di variabili che Geraci utilizza sapientemente nelle volute dinamiche, allusive, delle sue forme. Le variazioni sono molteplici e si intrecciano con una sintassi geometrica e cromatica molto rigorosa, eppure mobile, dinamica e moderna nello sviluppo di moduli che si aprono e agganciano in strutture animate da un anelito vitale, a tratti esplicitamente romantico. In alcune opere, l’artista inserisce il suo linguaggio geometrico nel paesaggio, cercando ancora una volta di fondere dialetticamente astrazione e natura, giungendo al racconto, all’elegia segreta delle forme che si inserisce nel quadro reale di una paesaggio sintetizzato. È forse quest’ultimo grado di congiunzione, di rapporto, una delle chiavi di lettura di questa mostra e di tutta l’opera di Geraci. Tecnica, speculazione intellettuale, gusto e sapienza della materia, pittura come natura, si fondono in una sinfonia complessa, ricca di vitalità e di spunti molto densi, di divertimento anche.


Mosè Previti

Riproduzione Riservata

Testo critico per la mostra di Giuseppe Geraci

Paesaggi a modo mio

Dal 25 gennaio al 5 febbraio 2019

Teatro Vittorio Emanuele di Messina






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