La "Città dei Vivi" di Nicola Lagioia mi ha colpito molto. La storia dell’omicidio di Luca Varani è straziante, inquietante e al tempo stesso paradigmatica. Luca Varani è il ventiduenne romano ucciso da Manuel Foffo e Marco Prato nel marzo del 2016 durante un “festino” a base di cocaina. Lagioia costruisce il romanzo con gli strumenti analitici dello storico e la potenza immaginativa del vero scrittore. Il libro è un’avvincente quanto dolorosa analisi della nostra società: come uno speleologo, Lagioia è sceso nell’abisso psichico del nostro presente e lo ha fatto con puntuale cura intellettuale ma anche con vera partecipazione emotiva, personale.
Questa storia ci riguarda tutti, siamo tutti coinvolti nel fiume carsico di un’epoca piena di disagi e di incertezze, di confusione e di dolorosi conflitti con noi stessi, con il mondo che sembra continuamente rifiutarci. E il mondo stesso, come la Roma descritta nel libro, sembra affondare in uno stato di caos accecante e brutale.
Credo che questo libro racconti il nostro tempo in una maniera che mancava. Almeno, io non l’ho mai incontrata. In quanto letteratura, vera e buona letteratura, l’opera non è involta nelle necessità produttive del giornalismo, né nelle necessità estetiche del racconto avvincente: si muove in un territorio archeologico dove l’indagine arriva fino in fondo: arriva a vedere. Ho sempre creduto che il nostro racconto del presente fosse propagandistico, edulcorato. I giornali, la tv, i social quello che raccontiamo agli altri, ciò che raccontiamo a noi stessi, rispondono ad un’idea del mondo su cui forse si è incistata una visione scaduta, una visione del mondo che è oggi orribilmente peggiore di quanto riusciamo a percepire.
Trent’anni fa il “male” era la mafia, gli omicidi per strada, gli attentati. Il male era la violenza, la corruzione. Io me lo ricordo quel male. Da bambino siciliano ne ero circondato, ed era facile schierarsi, era semplice essere contro. Eravamo tutti eroi, ci sentivamo tutti pronti a schierarci chiaramente da una parte, la parte giusta. Ma oggi, quel male non c’è più, oggi l’Italia è tra i paesi meno violenti del mondo. Eppure esiste e si sente, lo percepisci camminando in tutte le città, anche nelle più sfavillanti, anche nelle più sicure, si sente il disagio, la precarietà, la confusione, la follia che sono entrati prepotentemente nella quotidianità delle persone. Non si spara, non esplodono i giudici ma il morto c’è, c’è lo stesso. Di lui non se ne parla mai, parlarne non appartiene al nostro tempo.
Il morto è il futuro. Il futuro lo si immagina senz’altro meglio, tuttavia oggi occorre non pensarlo nè meglio, né peggio, non pensarci affatto. Chi ne discute magari sta a Bruxelles o sui giornali dove si spaccia, molto spesso, propaganda per informazione. Ma il futuro non è quella roba lì, non è i piani a 5 - 10, 15 anni, nella nuova tecnologia etc. Il futuro siamo noi, noi esseri umani, non dati, non statistiche, non racconti, non propaganda. Noi vivi, almeno spero.
Mosè Previti
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