La faccia è la copertina delle persone, il biglietto da visita, lo strato superficiale. Gli esseri umani hanno una faccia al secondo, capire qualcuno è difficile, più difficile ancora è capire se stessi. Sono interrogativi che l’uomo si pone da millenni, fornendo risposte diverse, mai definitive. Nella nota per questa mostra, Nino Vario scrive: “intendo L’altra faccia in due modi: come l’altra faccia degli altri, come l’altra faccia di me stesso”. Però c’è anche un terzo elemento, perché il gioco di specchi che scaturisce dal quadro ha un punto di fuga, una prospettiva di presentazione nel suo pubblico. Forse siamo di fronte a un teorema che Vario intende dimostrare. Un teorema estetico e filosofico che l’artista spiega con i mezzi di un’espressione solidamente ancorata alle grandi elaborazioni del pensiero greco di cui il gnothi seauton (conosci te stesso) rappresenta il punto di origine e anche una prospettiva di sviluppo, infinita. Perché il creativo non ha una meta definitiva in cui possa dirsi concluso il suo processo di indagine e di creazione, termini artisticamente sempre coincidenti. Infatti, qui Vario non approda a una risoluzione, piuttosto si manifesta con l’organicità di un progetto che scansiona i temi in cicli ideali, siano essi i ritratti o le pagine liriche Dal Diario Cancellato. La sua risposta al motto delfico e socratico del conosci te stesso non può che essere in perenne divenire, un continua interrogazione del mondo dove l’immagine di noi è sempre diversa, in perenne mutamento, spesso fraintesa da noi stessi e dagli altri.
Stilisticamente, la pittura di Vario pittura si muove nel solco delle analitiche elaborazioni del M.A.C. (Movimento Arte Concreta) e dei suoi epigoni, ma vira decisamente verso un’interpretazione personale oltre i confini dell’astrattismo. Le figure ritratte da Vario sono del tutto ideali, modelli formali dove la linea è struttura e il colore è emozione intellettualizzata. L’artista inventa composizioni dalla lampante energia iconica, modernissime, eppure costruite con un lento e meticoloso lavoro di misurazione e costruzione dello spazio. Pur essendo veloci, immediate, queste immagini sono perfettamente “pesate”: tutto è calibrato, nel ritmo di pieni e vuoti, nelle diagonali, nelle tangenze, secondo un intrinseco principio di simmetria. Questa disciplina compositiva che si manifesta nella ripetizione modulare delle forme è vivacizzata dal colore. Il colore di Vario è il movimento, l’alito emozionale di queste immagini. L’artista utilizza una stesura perfettamente piana, i suoi campi cromatici sono terse superfici di pura materia - colore, una partitura musicale, dove una triade di tonalità si riverbera in alterazioni e accordi sempre azzeccati e originali. Questo è del tutto evidente in Fez o in Dietro gli Occhiali. In quest’ultimo, le speculazioni e le modulazioni intorno al triangolo costruiscono il volto di un uomo che indossa un paio di occhiali: non decifriamo perfettamente la sua espressione, tuttavia, sappiamo che le lenti non sono sempre pulite, in più la montatura dona a chi la indossa un’aura di sapienza che non sempre corrisponde alla verità. Vario è forse un pittore pitagorico, un pittore platonico e assolutizzante, dove la ricerca della norma, la coniazione della regola come dispositivo intellettuale geometrico e topologico vuole sopravanzare il grande panico che suscita l’immensa grandezza del tutto, il suo dispersivo e tragico caos. Da questa energia regolatrice nasce il modulo segnico di Da diario cancellato – 1 ad esempio, ma anche l’inquieta sospensione di Rubra Manus. In quest’opera Vario sviluppa il suo peculiare linguaggio sintetizzando le forme umane con rigore minimalista tuttavia palpitante di umana presenza. Un personaggio sta guardando dritto verso di noi, mentre un altro si offre di profilo. Le facce qui sono due, e quella che ci sta osservando potrebbe essere proprio quella dell’artista, in un ideale autoritratto. Tuttavia, il pittore non offre punti chiarificatori sulla scena, piuttosto fa volteggiare un messaggio, attraverso un uccello simbolo delle altezze intellettuali, della divinità, ma anche della solitudine dell’artista. L’unico appiglio concettuale viene dal titolo, e fa rifermento alla mano rossa (Rubra manus) che entra nel quadro come provenisse dallo spazio esterno, dal mondo fuori con cui Vario sta pirandellianamente intessendo il suo dialogo. “Noi ci vediamo non quali siamo ma quali vorremo essere” così dice il drammaturgo siciliano nel fondamentale saggio dell’Umorismo (1908). Forse la mano che irrompe nella scena rappresenta proprio questo confronto con l’esterno dal quale ogni idea di noi stessi viene radicalmente modificata. Vario ha abbracciato questa fondamentale verità per elaborare un mondo coerente di volti unici eppure universali è riuscito nell’opera di fortificarla con un lavoro puntuale, intellettualmente stimolante ed esteticamente avvincente. Elaborando il segno e l’origine astratto geometrica della sua vena artistica, il pittore è approdato a un linguaggio narrativo essenziale ed elegante, dove la storia nasce nello sguardo interpretante di chi guarda e l’altra faccia, alla fine, è la nostra.
Mosè Previti
Testo critico per la mostra "L'altra Faccia" di Nino Vario
Dal 25 ottobre al 5 novembre 2019
Teatro Vittorio Emanuele di Messina
Comentarios