L’America parla tanto di se stessa, fino a confondere. Il mondo occidentale si racconta come un’emanazione americana, l’egemonia culturale non fa sconti, ed è scimmiottamento del modello d’oltre oceano, dove per America, in realtà, s’intendono gli Stati Uniti, almeno gli Stati Uniti come si vogliono far conoscere dalle provincie del loro impero. Tre fotografi siciliani, Francesco Algeri, Davide Patania e Gianmarco Vetrano l’hanno visitata in diversi momenti e in diversi luoghi: Algeri ha scattato lungo la Route 66, Patania è finito in mezzo al formicaio di New York e Vetrano nella subtropicale e godereccia Miami. Tre fotografi con profili diversi e con sguardi diversi unificati dall’analoga necessità di raccontare un’energia mastodontica, eccessiva e sgargiante che corrisponde con l’idea d’America che l’America propaga, fino a un certo punto. Perché qui le Postcards, le cartoline, non posterizzano confortevolmente, più che altro i tre fotografi si sono occupati, in modi e dosi diversi, di far venire fuori i contrasti, le crepe, le bizzarrie sfacciate, il carattere forte e intrinsecamente selvaggio di questo Paese.
Ha attraversato la Route 66 dall’Atlantico al Pacifico lo scorso settembre. Le foto da lui selezionate per questa mostra sembrano vuol spiegare una tesi. Gli Stati Uniti non sono più quelli di una volta, il volto tronfio e vittorioso della Nazione trova una scenografia perfetta nei quadretti vintage con le auto d’epoca e le insegne dei motel, ma il fotografo ci vuole far vedere altro. Il mito è stato rottamato: appaiono carcasse, edifici fatiscenti, sinistre apparizioni oltre le celeberrime staccionate delle case formato sogno americano, anche queste desolate. Quattro sedie vuote, un uomo di colore che conta i biglietti da un dollaro vicino a dei palloncini. È il racconto critico di un paese impoverito che non rinuncia al sogno che la Route 66 incarna magistralmente, in quanto topos mitico delle infinite libertà del super individuo statunitense. Però la strada è principalmente un pezzo di asfalto in mezzo ad un paesaggio sconfinato, l’uomo non c’è. C’è invece, e troppo forte, una natura spirituale e immensa che sovrasta le rovine di ferro e cemento. Un ciclista, a petto nudo, magro, scavato, siede accanto ad una donna con tre bambini. Dietro di lui un fast food, a sinistra un turista dai lineamenti orientali, con occhiali, in piedi. L’uomo al centro della foto emana una sorta di aura stoica ed ebete mentre la madre pensierosa ascolta la figlia. Ci sono in questa immagine altri particolari di un possibile racconto corale che porterebbe automaticamente a una cartolina su un futuro dell’America che già oggi s’intravede, allo spettatore spetta il piacere e il compito di immaginarli.
Le cartoline da New York non sembrano New York. Dal suo viaggio del 2009, Patania riporta il ritratto della gente pop della Grande Mela, e il pop qui è il sapore quotidiano e stradaiolo dell’umanità dalle facce innumerevoli. L’uomo sulla fuori serie rossa davanti all’ambulanza s’impone all’occhio con una seriosa arroganza lontanissima dalla gente del ghetto, anni luce dall’uomo sull’autobus così simile a papà Griffin. Patania è andato a caccia per le periferie della città in cerca di un antistereotipo finendo per rivelare la vitalità e la miseria di una società multirazziale ancora profondamente divisa e diversa dal flusso mainstream dell’info intrattenimento. Le foto sono state scattate un anno dopo l’elezione di Obama, il simbolo di quell’America antirazzista e democratica che oggi sembra subire un collasso definitivo, se mai c’è stato un vero decollo, per mano dell’ultimo presidente eletto. Manifesto della serie potrebbe essere la foto in bianco e nero con la modella semi nuda di American Appareal. Ma l’abbigliamento americano non c’è, l’erotismo esplicito e provocante si schianta inesorabilmente con le architetture fatiscenti in un fragoroso fail semantico. L’obiettivo di Patania è pettegolo e smorfioso, cerca la vita fuori schema, disordinata e a tratti anche pericolosa di questa società. Il momento icastico, l’icona sembra essere continuamente davanti alla sua lente in una sorta di continuità transcontinentale tra lui e l’irreverente foto report americano Weegee.
Avalon è l’isola di miele del ciclo letterario di Re Artù, un luogo di delizie che è anche il nome del noto hotel di Miami ritratto da Gianmarco Vetrano nel suo viaggio in Florida, nel gennaio scorso. La città immortalata dal fotografo siciliano è un caleidoscopio multirazziale dove l’americano è colto nel suo naturale dress code vacanziero. L’energia cromatica di questi scatti ha qualcosa di sciamannato e acido, come la donna con l’ombrello arcobaleno o la famiglia alle prese con gli snack all’angolo di una strada. I personaggi ritratti da Vetrano non si ritarano di fronte all’obiettivo ma partecipano attivamente: una ragazza imita la gallina sul marciapiede, una ricca donna afro americana sorride al fotografo dalla sua decapottabile mostrando l’immagine “santa” di Martin Luter King. Forse qui l’America non si è ancora arresa, gode di uno spazio più rilassato in cui può vivere il suo divertimento, la naturalezza della sua quotidianità. Molto potente il ritratto dell’anziana donna alle prese con un piatto di tapas. La donna non sembra essere turbata dall’obiettivo, piuttosto i suoi occhi sembrano chiedere “Who is the guy?”, chi è il ragazzo che mi sta fotografando? In lei c’è l’eco della contro cultura di cinquanta anni fa ma anche il contegno di una donna americana benestante. Questa “festa fotografica” però ha anche dei momenti più seri e pensosi, come la foto davanti al Señor Frog, l’edificio modernista che ospita un noto ristorante in perfetto party style, qui significativamente oscurato da una nuvola per niente incoraggiante. Anche qui l’America fa pop, come lo scatolo del pupazzo dagli occhioni giapponesi immortalato alla bancarella di un afro americano. L’America pop di Vetrano è più morbida e chiassosa dei suoi colleghi presenti in questa mostra, però qualcosa di indistinto e inquieto si addensa tra le strade larghe e poco trafficate della città delle palme sferzate dagli uragani e dai sintomi di un devastante cambiamento climatico.
Mosè Previti
Riproduzione riservata
Testo critico della mostra "Postcards: New York, Miami, Route 66”
Algeri, Patania, Vetrano
dal 8 al 30 dicembre 2017
Comments