Inaugura sabato 3 luglio alle ore 18.00 presso Santamarina Bistrot di Palermo la mostra "Macerie" del collettivo Rosy Crew, a cura di Mosè Previti.
Rosy Crew è: Daniela Balsamo, Antonio Curcio, Giusi Di Liberto, Danilo Maniscalco e Antonio Fester Nuccio che per questa mostra hanno invitato ad esporre gli artisti: Bartolomeo Conciauro, Juan Esperanza, Roberto Fontana, Freaklab, Antonia NO, Linda Randazzo, Tetsuo Miyakoshi e Sogno Lucido aka Giuseppe La Tona & Fulvio Governale.
“Macerie” prosegue idealmente la mostra collettiva “Distopie” inaugurata da Rosy Crew nel luglio del ’20. Se “Distopie” aveva visto gli artisti coinvolti in una riflessione sulla “società delle pandemie”, “Macerie” esplicita nel titolo il senso tutto psicologico del tema proposto. La mostra comprende pitture, sculture e istallazioni di un gruppo di artisti veterani, dalla carriera internazionale, affiancati da alcune nuove leve reclutate con il consueto acume critico dal collettivo palermitano Rosy Crew.
Dramma, ironia, mito, tradizione e provocazione sono gli elementi di questa mostra che riunisce personalità indipendenti riunite intorno alla tabula rasa emotiva del dopo Covid19. Gli artisti, consapevoli dell’impatto delle misure di distanziamento sociale imposte dalle istituzioni, raccontano la loro personale visione aprendo nuove prospettive interpretative e profondi sguardi emozionali sulla realtà invisibile dell’animo umano.
Dalla nota del curatore:
“Gli artisti sono gli unici sopravvissuti a queste macerie. Mi dispiace, ma il corpo in vita non è una vera vita se in esso è stato sconfitto il bambino in grado di correre sulle macerie. Mi dispiace, ma la vita come biologia, come scienza, non è vita, è morte prima della morte.
Questa mostra raccoglie un gruppo eterogeneo di artisti, dai percorsi e dagli stili diversi. Li unisce un’identica volontà di immaginare, di creare nonostante queste macerie. È un’operazione indipendente, non mediata dal sistema, non appoggiata, non predigerita. Si tratta di lavori che sono avventure personali, personali rapporti con il disastro da cui solo l’artista sa sollevare la grandezza di nuove costruzioni. Seguendo la tradizione, il critico dovrebbe spiegare alle persone il perché questo o quello sono belli o importanti. Lasciatemi dire che questo compito ingrato e imbarazzante è ciò che lascio volentieri sotto le macerie. La qualità non è da spiegare e non è iscritta nelle grammatiche né nelle griglie. Probabilmente neanche l’arte esiste così come la intendiamo. Esistono gli artisti e le loro opere, ed è in queste che io vi prego di porgere il vostro sguardo e la vostra anima, con questa bellezza vi chiedo di correre sopra le macerie.”
Macerie
Santamarina Bistrot, Piazza Pietro Speciale, Palermo.
Dal 3 fino al 10 luglio, tutti i giorni tranne il Lunedì
Dalle 12 alle 00.00. Per info: +3477689468, +393381871244
Nota del curatore:
Pomeriggio d’estate. Le ruspe hanno appena finito il loro lavoro. Una distesa di tetti di amianto, mattoni forati, serbatoi, antenne, muri strappati come fogli di cartone. Un bambino si avvicina incuriosito. Le macerie formano ostacoli, valli, salti, vuoti curiosi sulle abitazioni distrutte dalla ruspa. Il bambino si avvicina curioso, un topo gigante gli taglia la strada. Con cautela mette un piede su un gradino rotto, poi su muro di forati accasciati. Un passo dopo l’altro, scruta centimetro per centimetro lo spazio dei nuovissimi ruderi. Il bambino è eccitato, sente come un misterioso impeto, una musica che lo spinge a muoversi, a saltare tra le macerie. Accelera il passo, piccoli salti tra i piani inclinati, poi un salto grande, poi un altro, inciampa sta per cadere, ma salva la fronte da un tondino d’acciaio che impenna come una lancia, e allora inizia davvero a correre, va avanti senza pensare, senza paura, salta sulla distesa sfidando il piede che cede, i ferri che gli strappano le calze, gli spaccano le scarpe, i monconi di muro che gli graffiano le mani. La distesa di macerie finisce in ciottoli che si mischiano con il ghiaietto della strada. Passa un’auto, musica a tutto volume. Il bambino ride sudato e sporco di tutto.
Macerie è il nuovo progetto del collettivo Rosy Crew, formato da Daniela Balsamo, Antonio Curcio, Giusi Di Liberto, Danilo Maniscalco, Antonio Fester Nuccio che, come da prassi, hanno invitato ad esporre Bartolomeo Conciauro, Juan Esperanza, Roberto Fontana, Antiona NO, Linda Randazzo, Sogno Lucido (Giuseppe La Tona e Fulvio Governale) e Tetsuo Miyakoshi.
Il tema della mostra è eloquente: “Macerie”. L’allusione non potrebbe essere più esplicita, il messaggio è chiarissimo. La pandemia ha lasciato dietro di sé un cumulo di macerie. È chiaro che l’esito di questo disastro si sia palesato in varie forme nella vita di milioni di persone, con pesantissimi strascichi sociali ancora da scoprire. È altrettanto chiaro che la distruzione causata dalla gestione tecnocratica dell’evento ha intaccato soprattutto la sfera privata, individuale e psicologica delle persone. La società dello spettacolo ha proceduto indenne e senza sostanziali modifiche nel suo iter ipnotizzante. La massa non ha reagito in alcun modo al fallimento del capitalismo globalizzato che ha permesso al virus di emigrare dalla Cina e disperdersi nel mondo, non ha reagito alla segregazione personale, non ha reagito alle numerose giravolte e ai divieti moralisteggianti di scienziati improvvisatisi ringhianti Savonarola, amministratori della vita delle persone, comici regolatori delle mutande altrui.
Macerie, appunto. Il mondo dominato dalla mente razionale, dalla tecnica finanziaria, dai protocolli sanitari, dai paper scientifici contradditori e spesso totalmente autoreferenziali, è crollato inesorabilmente e senza alcuna cautela sulla massa amorfa, anonima, ormai ridotta a cavia per le manipolazioni pulsionali e lo spionaggio neuro predittivo dei social network. È inutile prendersi in giro, l’uomo occidentale è ormai maceria, ammasso biologico da governare attraverso le forme più disparate di sperimentazione. Le élite tecnocratiche, cartesiane e algoritmiche, organizzano nuovi strumenti di dominio, nuovi strumenti di espulsione dell’anima, dello spirito e di ogni altra forma di energia vitale che non voglia sottomettersi al sadico automatismo della tecno scienza e dei suoi tristi sacerdoti. È vero, sembra spirare un vento di tregua per le masse, un vento gentile che possa sanare le sofferenze di popoli, come quello italiano, triturato inesorabilmente da consorterie fameliche e bande di predoni travestiti da ordoliberisti, ma si tratta solo di una manovra d’emergenza per salvare il collasso materiale delle comunità distrutte. La distruzione, le macerie, sono soprattutto morali, animiche, spirituali.
Il dio morto annunciato dal filosofo tedesco non era la profezia di una liberazione ma l’annuncio della morte collettiva del genere umano come specie dotata di qualità non misurabili, di virtù irrazionali, di passioni non calcolanti, di aneliti trascendenti, di arte, di musica, di pittura, di vita. Il dio morto è lo zombie alla testa di miliardi di flatulenti corpi spogliati dell’alito, del respiro magico, non definibile, della vita piena, della divina vita.
Resistono, solitari, eremitici, emaciati, monchi, spesso immensamente indigenti, tutti i poeti, gli artisti, i cantanti, gli attori, i pittori, quelli che non si sono rassegnati, che ancora si ascoltano, che sono capaci di immaginare, di irridere, di sbeffeggiare, di negare, di parlare con il dio, ascoltando l’intelligenza del mondo, il canto delle piante e delle pietre, il lamento del mare, la rabbia assurda di certi silenzi.
Gli artisti sono gli unici sopravvissuti a queste macerie. Mi dispiace, ma il corpo in vita non è una vera vita se in esso è stato sconfitto il bambino in grado di correre sulle macerie. Mi dispiace, ma la vita come biologia, come scienza, non è vita, è morte prima della morte.
Questa mostra raccoglie un gruppo eterogeneo di artisti, dai percorsi e dagli stili diversi. Li unisce un’identica volontà di immaginare, di creare nonostante queste macerie. È un’operazione indipendente, non mediata dal sistema, non appoggiata, non predigerita. Si tratta di lavori che sono avventure personali, personali rapporti con il disastro da cui solo l’artista sa sollevare la grandezza di nuove costruzioni. Seguendo la tradizione, il critico dovrebbe spiegare alle persone il perché questo o quello sono belli o importanti. Lasciatemi dire che questo compito ingrato e imbarazzante è ciò che lascio volentieri sotto le macerie. La qualità non è da spiegare e non è iscritta nelle grammatiche né nelle griglie. Probabilmente neanche l’arte esiste così come la intendiamo. Esistono gli artisti e le loro opere, ed è in queste che io vi prego di porgere il vostro sguardo e la vostra anima, con questa bellezza vi chiedo di correre sopra le macerie.
Mosè Previti
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