Un caso speciale: Bootcamp Ledger 2019
Introduzione
“Creatività” è una parola brillante anche se un poco abusata. “Creatività” è una parola che brilla e si accende come una lampadina. È come l’olio extravergine, si può mettere ovunque, funziona sempre. Proviamo definizioni: la creatività nasce dalla scarsità di mezzi. La creatività è una facoltà particolarissima che può trasformare una situazione di crisi in un’opportunità, un problema in una risorsa.
Tutto molto bello, teoricamente la definizione funziona alla grande. Concretamente, però, cosa significa? Le definizioni, per quanto brillanti, hanno bisogno di una messa alla prova, di un ambito di azione.
Occupandomi principalmente d’arte, ho sempre avuto a che fare con il “momento estetico della creatività”, con la creatività che produce oggetti e azioni che sono filosoficamente non economici, cioè che non sono utili: non apriamo una bottiglia con la musica di Mozart, né andiamo a lavoro trasportati da un quadro di Turner. L’arte quindi non serve per fare qualcosa ma serve piuttosto al nostro animo, offre un valore morale, una prospettiva più ampia sul nostro modo di vivere.
Ognuno di noi ha molte storie da raccontare sulla propria e sull’altrui creatività però, mi pare ci sia un grande fraintendimento. La creatività è certamente un’attività spontanea, talvolta incontrollata, ma il più delle volte la sua efficacia si fonda sul metodo. Più la creatività entra nella tua vita più la prospettiva dell’azione cambia, nascono porte lì dove c’erano muri, finestre dove c’erano sbarre.
Le immagini aiutano a comprendere ma c’è dell’altro. Essere creativi significa poter cambiare l’esistente ma per cambiarlo è necessario conoscerlo. Per essere creativi è necessario andare a fondo nella realtà, raccogliere informazioni. Internet sembra dare a tutti la possibilità di essere informati su ogni cosa, ogni evento del mondo, istantaneamente. E in parte è così. Ma l’informazione non è conoscenza, la notizia non è una copia della realtà, è una sua interpretazione.
Per iniziare a creare dobbiamo conoscere e per conoscere dobbiamo raccogliere informazioni ma è necessario anche verificarle, andare a fondo, incontrarle. Ennio Flaiano diceva che in Italia la letteratura è morta perché gli scrittori non prendono più il tram. Con questa frase molto provocatoria, lo scrittore intendeva dire che il contatto con le persone, l’incontro con la gente è uno strumento fondamentale per il creativo, per chi vuole inventare e raccontare per le storie.
Oggi, come nascono le storie? Oggi, come nascono le opere d’arte, le imprese economiche? Da lungo tempo la produzione di beni e servizi privati è sottoposta a un set molto rigido di regole, protocolli, processi. Il mondo che frequentiamo tutti i giorni, quello d’Internet e dell’IT, ad esempio, è fatto così. Ma non è solo quello. Tutti gli ambiti della nostra vita sono profondamente normati, il nostro stesso sguardo è formato dagli istituti educativi e dai media secondo un paradigma tecnico che vede nel minimo degli sforzi il massimo del rendimento. Non entro nella questione etica di questo ragionamento, mi interessa di più la questione metodologica, la ricaduta sulla nostra creatività, le conseguenze sul nostro modo di vedere la realtà sempre più come spazio immutabile, come trincea dalla quale o lavoriamo in un certo modo, secondo certe prassi, oppure soccombiamo.
Si tratta di una fragorosa illusione. Tutto ciò che ci viene raccontato, tutto ciò che ci viene proposto, anche questo scritto, seppur accessibile, seppur universalmente visibile e consultabile, non rappresenta che una piccolissima parte, una parte infinitesimale delle realtà possibili, dei possibili scenari.
Non è mio interesse fare un elogio delle possibilità rivoluzionarie della mente, né una sperticata retorica sulla forza del pensiero positivo. Il pensiero positivo, al pari di quello negativo, è uno sguardo già filtrato sulla complessità del mondo: è come vedere il mondo tutto verde, o tutto rosso. Il mondo non è così, non è fatto di una sola sostanza, è complessità in movimento, è musica della materia danzante. La poesia mi serve per raccontarlo ma ho bisogno del tempo e dello spazio per viverlo.
BOOTCAMP LEDGER PROJECT MILAZZO
Il tempo è ora, lo spazio e quello di cui faccio esperienza: casa mia, la Sicilia. La Sicilia di cui vi parlerò dopo tutto questo fumo di parole, non è quella dello stereotipo 1 né dello stereotipo 2. Per stereotipo 1 intendo quello promosso fuori dall’Isola con la triplice: Bella - mafiosa - disperata, per stereotipo 2 quello promosso dai media locali: Bella - sfortunata - arancini unesco. In quanto amante e praticante assiduo dello storytelling ci tengo ancora a smentirlo, a confinarlo: la rappresentazione non è la realtà, il racconto non è il fatto.
La storia che vi racconto adesso è proprio tutta sulla scoperta della realtà, sull’esplorazione dell’esistente, senza internet, senza skype, a piedi, con l’auto a noleggio, gente che si capisce a gesti, persone che si incontrano al bar, occasioni.
A Milazzo, provincia di Messina, dal 28 ottobre al 9 novembre sono state chiamate a raccolta 16 start up, cioè delle imprese appena nate, che hanno ricevuto un finanziamento europeo pari a 150 mila euro l’una. Il finanziamento è stato erogato dal progetto NGI (Next Generation Internet) Ledger a favore di progetti tecnologici innovativi, secondo un principio humancentric, vale a dire che questi progetti dovranno servire a rendere la tecnologia più vicina ai bisogni delle persone, più aperta e condivisa.
Queste start up sono venute in Sicilia perché la fondazione olandese Dyne.Org è responsabile, tra le altre cose, della formazione e del mentoring di questi progetti. Dyne parla italiano anche per del suo fondatore, Denis Roio, uno degli sviluppatori più importanti del panorama europeo, presente alla prima settimana del bootcamp prima del suo impegno per DECODE al Festival della Tecnologia per l'Europa. Per la fondazione Dyne.Org il direttore del bootcamp di Milazzo è stato Federico Bonelli, artista e intellettuale italiano da anni residente ad Amsterdam. Bonelli è sempre stato un innovatore dei formati culturali anche se la sua formazione accademica è quella di filosofo epistemologo, in particolare si è occupato della teoria del caos e della matematica ad essa correlata, in più è stato un regista e un performer. Queste informazioni sono un presupposto biografico fondamentale per capire l’innovativa metodologia che ha visto questi imprenditori alle prese con un territorio di cui non sapevano niente e per il quale, in solo tre giorni, hanno dovuto proporre un MVP (minimum viable product), vale a dire un progetto.
Generalmente i bootcamp, i seminari e tutti gli incontri di questo genere, si tengono in un gradevole stanzone davanti a un proiettore dove si sta seduti per ore ad ascoltare qualcuno, desiderando ardentemente di arrivare al coffe break o al lunch senza fare notare gli sbadigli. L’innovazione è qui solo nei contenuti, per il resto sono delle normalissime lezioni.
Il bootcamp di Milazzo inizia alle 8.00 sulla spiaggia davanti all’Hotel Esperia con un cerchio di persone. Tutte i giorni, alle 8.00 per due settimane, facce assonnate, facce sveglie, domande, risposte, richieste, spiegazioni, scoperte. Il cerchio è il momento in cui la piccola comunità del bootcamp si rappresenta, vengono scambiate le informazioni, si può chiedere e offrire supporto, parlando in cerchio sono più facili le collaborazioni, tutti sentono tutto, l’organizzazione si genera automaticamente dal dialogo.
Ai membri dei team è stato assegnato come primo compito quello di arrivare a Milazzo e prenotarsi l’albergo. Sembra un compito banale ma la Sicilia non è esattamente il posto più semplice per la mobilità. Sei non hai un auto sei perduto, i siciliani non parlano inglese, c’è tutto un mondo di regole informali da seguire per non finire nei pasticci. Il secondo compito è stato quello di incontrare le realtà del territorio sia attraverso incontri organizzati, sia attraverso una ricerca autonoma sul territorio. Alcuni team sono stati lasciati liberamente vagare alla “deriva”, cioè sono stati obbligati ad attraversare Milazzo allo scopo di osservare, domandare, raccogliere informazioni. La quasi totalità dei team nel presentare le loro idee per Milazzo, ha quasi copiato la paginetta wikipedia in inglese della cittadina, alcuni hanno ricercato Milazzo tra i papers scientifici, altri hanno chiesto ad amici italiani. Tutti i team sono arrivati al bootcamp con un set di idee e un progetto che è stato naturalmente smontato dalla complessità della realtà.
Le sorprese sono venute anche per noi del team di Dyne.org. In primis, la scuola ITIS Majorana: 1500 studenti, videoclip di presentazione super professionale con base rap originale, laboratori all’avanguardia, e una decina di classi impegnate nell’incubazione di start up. L’incontro con le scuole è stato un vero e proprio “incontro”, gli studenti startuppers si sono confrontati fittamente, con tanto entusiasmo e serietà. Il Majorana è stato anche per me una gran bella sorpresa, anche perché in Italia la retorica piagnona sulla scuola è sempre sulle pagine dei giornali. La rappresentazione della scuola è sempre molto negativa, drammatica, isterica, le storie positive sono esaltate in maniera inverosimile, ma la realtà, come già detto è più complessa.
Ci sono una quantità enorme di nozioni pratiche, di aspetti psicologici e sociali che non si trovano su internet, né sui papers. Questo incerto e nebuloso materiale umano è proprio la realtà, è il luogo dove si incontrano le occasioni e le idee. Per spiegarmi devo raccontarvi qualche episodio di “deriva situazionista” applicato al Bootcamp NGI di Milazzo.
Mercoledì 30 ottobre, mattina, guido la mia vecchia auto francese verso la piana di Milazzo, nella vasta area alle spalle della mostruosa raffineria. Non so arrivare alla raffineria, non so arrivare alla vasta area. Guido e con me c’è la mia collega croata Elena, e la start up inglese Cobox, segue auto a nolo della start up spagnola Decentralized Science. A fiuto imbocco strade e stradelle dalle parti di Giammoro, arriviamo alle spalle dell’imponente centrale Enel Terna, c’è un vivaio, ci fermiamo. Cobox e Decantralized Science stanno cercando delle aree di terra abbandonate per convincere i proprietari a mettersi insieme usando block chain e tutto il meglio della tecnologia per facilitare i processi decisionali e la trasparenza. Dopo un giro a vuoto nella campagna entriamo nel vivaio che è una grande serra. Il proprietario non c’è, incontriamo il responsabile, gentilissimo e molto disponibile. Veniamo a sapere che c’ un sacco di terra attorno alla serra che appartiene alla proprietà. La proprietà sono dei soci che sono anziani e non hanno voglia di allargare, di investire. La serra l’hanno fatto coi soldi pubblici trenta anni fa. I ragazzi chiedono al responsabile perché non vogliono allargarsi: non si fidano. Chiedono anche quale sarà il futuro della serra: i figli dei soci la vendono.
Riprendiamo la deriva, seguiamo la strada per qualche chilometro e arriviamo in un piccolo agglomerato di case, il centro del villaggio è una rotonda alberata con un bar al pian terreno di un albergo. Entriamo, ordiniamo, chiedo informazioni. Mi risponde direttamente il proprietario del bar che è anche il proprietario dell’albergo e possiede anche della terra. È disponibile a incontrarci sul suo terreno, che tra l’altro è bellissimo, scopriamo di essere a Cattafi e che nella zona ci sono un sacco di terreni incolti con proprietari che si conoscono e che non hanno mai pensato di mettersi insieme. Cobox e Decentralized Science pensano al loro progetto, elaborano una proposta per unire queste persone.
Altra deriva situazionista, stavolta a piedi. Mercoledì 6 novembre, mattina, Milazzo centro. Accompagno la start up greca Synergy nella ricerca di una cooperativa che però non pare non esistere più. Synergy è una cooperativa di Atene che si occupa di aiutare le altre cooperative con servizi tecnologici per il foundraising e l’amministrazione. Facciamo qualche chilometro intorno al civico riportato da Google, al telefono non rispondono, vaghiamo. Arriviamo così al porto, mi ricordo che di fronte agli imbarchi per le Isola ha sede la cooperativa Arte A Capo, citofoniamo, ci accolgono, “I Synergy” fanno un sacco di domande poi incontriamo anche Anna Parisi, presidente di Arte A Capo che ci da anche un sacco di altre informazioni. Lasciata Arte A Capo, entriamo in un paio di banche cooperative per chiedere un appuntamento, che gentilmente ci accordano. Raccogliamo altre informazioni, Antonis Faras CEO di Synergy si fa una bella chiacchierata con il direttore di una ex Banca popolare, traduco, c’è anche un dibattito tra direttore e Faras. Scopriamo come funziona il mondo delle cooperative nell’area, scopriamo come le banche cooperative sono diventate banche e basta.
La “deriva situazionista” che è poi una passeggiata fatta con lo spirito attivo nell’osservare e nell’agire, è un modo per imparare che i progetti, i pensieri e le idee hanno bisogno di un nutriente rafforzante: la realtà, ancora una volta.
All’opposto della deriva c’è il crash organizzato. Così ho accompagnato la start up finlandese Unified Science alla scoperta di Giampilieri, villaggio ai confini della città di Messina, sede della quarta edizione di Trasformatorio, il laboratorio di arte contemporanea site specific inventato da Bonelli, che è stato incubatore artistico delle metodologie applicate nel Bootcamp. I finlandesi di Unified Science hanno studiato molto bene il territorio di Milazzo e della raffineria, son venuti al bootcamp con le idee molto chiare sulla situazione, vogliono realizzare un sistema di salvataggio in caso di calamità. A Giampilieri, che la calamità l’hanno avuto veramente nel 2009 con 36 morti e un paese travolto dal fango, Unified Science trova un paese che non si aspetta, una comunità che sembra fatta apposta per il loro progetto che si fa più preciso, che diventa più netto. In più, qui il crash organizzato diventa clamoroso, i finlandesi mi dicono di sentirsi a casa, gli piace molto la comunità, incontrano Donatella Manganaro, presidente dall’associazione Giamplieri 2.0, propongono un progetto che viene accettato anche con una certa commozione dei presenti. I finlandesi a Giampilieri funzionano benissimo.
“Deriva”, “Crash organizzato”, “ricerca sul territorio” questi sono alcuni elementi, molto sinteticamente descritti del bootcamp NGI ledger di Milazzo. Ci sarebbe molto altro da raccontare ma mi pare giunto il tempo giusto per fare uno po’ di sintesi su entrambi i fronti: territorio e bootcamp.
Territorio
In generale, le start up hanno notato che: 1) c’è un enorme problema di fiducia all’interno della società e dell’economia dell’area; 2) Ci sono valide realtà economiche, alcune anche tecnologicamente avanzate; 3) le realtà presenti non fanno rete; 4) le amministrazioni non sono amate e le regole sono troppe e troppo lente; 5) l’inquinamento legato alla presenza della raffineria non sono valutate correttamente dalla popolazione.
Aggiungo che il Castello, cuore storico ma soprattutto simbolico della comunità, non sembra adeguatamente valorizzato, se si escludono le iniziative dei singoli come quella de MuMa di Carmelo Isgrò o la fantastica bottega di Nino Pracanica. Il Castello è l’antitesi concettuale e spaziale alla raffineria: se questa estrae valore dal territorio restituendo stipendi e inquinanti, il Castello potrebbe produrre valore con un impatto molto più leggero sul territorio, unendo maggiormente la comunità intorno alla sua storia e alla sua identità. Passato e presente si incontrano a Milazzo in un groviglio molto complesso di relazioni dove, dal mio punto di vista, uno dei punti fondamentali è questa alienazione coatta degli individui rispetto alla loro stessa comunità, non tanto dal punto di vista dei rapporti personali, che sono cordiali e positivi, ma quanto dal punto di vista della capacità di creare insieme, di costruire un futuro collettivo.
Bootcamp
Il Bootcamp NGI Ledger, a detta della stragrande maggioranza dei team, una bella esperienza formativa. I team di queste start up sono composti da validi professionisti alcuni veramente di alto livello. I loro progetti, in certi casi, potranno essere realizzati effettivamente.
Non esistono definizioni di “humancentric design” perché la definizione di questa attività progettuale sta nascendo grazie ad esperienze innovative come quella curata da Dyne.org. Mettere l’uomo al centro della tecnologia significa scendere per strada e andare a guardare, parlare direttamente con le persone, ascoltare attivamente, rimanere con la mente libera di cambiare, creare diverse soluzioni agli stessi problemi. In questo orizzonte completamente nuovo, eppure assolutamente necessario per il nostro futuro, la creatività e l’approccio non ortodosso, artistico, ai problemi pare la via maestra, la soluzione alla progressiva deumanizzazione della società nel momento del suo acme tecnologico.
Mosè Previti © 2019
Dyne Team Sicilia: Simona Tarantino, Margherita Diurno, Manuala Ravida, Luca Recano, Mosè Previti.
Dyne. org: Denis Roio, Federico Bonelli, Purja Nafisi, Ivan Jelincic, Aspesia Beneti, Manuela Annibali, Elena Japundic, Nina Boelsums, Sito Veracruz.
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