Testo per il catalogo Non sono giapponese di Tetsuo Miyakoshi
Nel novembre del 2017 molte cose della mia vita avevano dato frutto, amaro. I numerosi progetti artistici, musicali e imprenditoriali non si erano ancora configurati come una forma stabile di reddito. Anzi, ero molto male in arnese, pur avendo sempre tante cose da fare e molte collaborazioni attive, in Italia e in Europa. I proficui rapporti con alcuni importanti maestri però avevano seminato la volontà di espandere il ruolo di teorico, per sviluppare un corpo a corpo molto più intimo con la pratica artistica, non solo performativa[1]. Al tempo, il “mio ufficio” era la tipografia Stampa Open, a Messina. In questa grande e prestigiosa stamperia ogni giorno curavo le edizioni di cataloghi e testi per un piccolo gruppo di committenti.
Amo i libri e sono da sempre un lettore avidissimo, oltre che professionalmente dipendente dalla mia capacità di scrivere. La pagina bianca è sempre stata per me il più fertile degli spazi, il più promettente dei vuoti. Anzi, la pagina bianca non è stata mai vuota ma piena della possibilità di una storia, di un’invenzione, di un romanzo, di un’idea. Ho sempre inteso la pagina bianca come materia da plasmare, uno spazio fisico reale per le mani e la loro piccola ginnastica. Mi piace digitare su una tastiera ben piana ma soprattutto mi piace scrivere e raccogliere idee su fogli e quaderni, di cui archivio sistematicamente tutti gli esemplari usati. La carta esercita su di me un'attrazione magnetica, sia per le promesse che il suo biancore mantiene ogni qualvolta si osi violarlo, sia per il piacere che la carta da sempre mi procura. Accumulo con costanza piccoli campioni di carte diverse, cartoncini, carte regalo, agende, block notes e quaderni. Quando Gianmarco Vetrano, insigne fotografo e caro amico, mi mostrò una gigantesca risma di cartoncini plastificati, avanzati dal confezionamento di uno dei suoi lavori, non potei resistere e con una certa fatica li portai a casa. Dicevo tra me e me che li avrei usati per delle “poesie”, pratica che un grande maestro mi aveva consigliato di svolgere su superfici enormi.
Così una sera di novembre sono tornato a casa con un barattolo quasi vuoto di inchiostro offset[2]. Ho iniziato a dipingere dopo cena fermandomi all'alba, completamente imbrattato di denso e nerissimo inchiostro. È stato come fare l'amore la prima volta, mi sentivo come sbucciato, rosseggiante di parto o del primo sesso. Fu un'esperienza erotica totale. Mentre fuori la città si animava, passai alcuni minuti per guardarmi allo specchio nudo, ritrovando nella folta peluria del mio corpo un'analogia con gli inchiostri che avevo spalmato su innumerevoli fogli di carta in guisa di alberi animati da chiome violente come esplosioni. Il mio membro era duro e fremevo di un’energia libera, totale. Quella notte di amore con la pittura fu sconvolgente e gratificante. Però una parte di me non poteva fare a meno che giudicare e giudicava molto negativamente lo sconfinamento del teorico, del critico, nel campo dell'artista. Una vergogna che con un sorriso mercuriale trasformai in una storia molto ben raccontata: Tetsuo Miyakoshi.
Questo nome giapponese nacque dall’interpretazione subitanea e grossolana del nome di due importanti musicisti del sol levante, Miharu Koshi e Haruomi Hosono, autori di un incredibile album gioiello dell'avant pop Swing Slow, colonna sonora della mia inaspettata irruzione nel mondo delle arti figurative. Solo in seguito, scoprì che Tetsuo Miyakoshi era un accademico giapponese esperto di chimica della lacca, materiale molto usato nel design e nell’artigianato asiatico[3] .
Mostrai le opere di Tetsuo Miyakoshi a esperti e artisti, raccontando l’improbabile storia di un mio fortuito incontro con un distinto signore nipponico che mi aveva incaricato di vendere le sue opere pagando anticipatamente e profumatamente il mio impegno. Ricevetti molto apprezzamento e alcune telefonate che si complimentavano con me per l’incredibile scoperta, ci fu anche un’intervista. Tetsuo Miyakoshi ha partecipato a una mostra a Palermo, un’opera è stata venduta negli Stati Uniti, alcuni lavori sono stati richiesti da collezionisti siciliani e non, un libro - installazione di haiku (Vulcano) è stato realizzato a “quattro mani”. Non ho inteso, fino ad oggi, né organizzare una personale né mettere ordine in questa attività. Per me Tetsuo Miyakoshi è stato il viaggio intorno ad un’identità inesplorata, un rapporto diretto con il sentire, con il mio inconscio.
Cavalcando la furia liberatoria della pittura gestuale mi sono gettato in questa avventura per conoscere la materia fisica della arti visive al di fuori delle lenti critiche e storiche dello studioso. Nel mio percorso intellettuale non sono mancati gli approcci, le monografie, i saggi e gli articoli, ma un istinto naturale mi ha sempre condotto al di là dei contesti accademici, lenti, farraginosi e mortalmente burocratici, contrari all’idea di cultura e di vita che io, con estremi sacrifici e qualche soddisfazione ho condotto fin qui. A parte questo inciso, Tetsuo Miyakoshi è stata la mia guida nella scoperta dei rapporti esistenti tra le forme della materia pittorica e la natura. Una cosa è leggerli nel Trattato della Pittura di Leonardo, o coglierli nell'osservazione delle opere, altra è provare direttamente per propria esperienza la coincidenza tra la morfologia del colore steso sulla tela e il modo identico in cui la natura organizza le sue forme.
Un baffo di pennello semi asciutto sulla carta assomiglia incredibilmente al modo in cui, da lontano, appare una strada scavata sul versante di una roccia, al mondo in cui nello spazio grigio del cielo invernale si stagliano i rilievi montuosi innevati. Una continuità della natura, attraverso l'uomo, che oggi è molto meno percepita di un tempo. La ragione fa fatica ad abbracciare l'organicità manifesta delle cose, la ragione è sopravvalutata, in quanto il solo discrimine mentale non è sufficiente per la comprensione e la vita nel mondo. Abbiamo bisogno dell'agire fisico ed emozionale per fare completa esperienza della vita e della realtà.
Quindi è soprattutto dal punto di vista personale e psicologico che Tetsuo Miyakoshi è stato illuminante. La sua presenza ha messo in crisi l’identità che avevo costruito, costringendomi a un allargamento e a una messa in discussione fatale.
In questo senso, la tecnica scelta corrisponde perfettamente alla radice storica e culturale del movimento gestuale cui sono tributario. Sulla scia del surrealismo e del gutai, la pittura gestuale riuscì portare ai suoi esiti naturali il rapporto con le profondità dell’inconscio, cercandone una subitanea e fulminea rappresentazione nel gesto della mano creatrice "liberata" da ogni vincolo "cosciente". Nel secondo dopoguerra del Novecento, la psicologia non era certamente la scienza di oggi, tuttavia gli artisti avvertivano nella propria coscienza i traumi del passato e le ansie del presente. Oggi queste ansie sono ugualmente presenti, forse con un disagio ancora più radicale e più profondo, perché non più coperto dalle istituzioni familiari e dalle fatiche fisiche del lavoro manuale.
La crisi dell’uomo postmoderno è una crisi esplicita dei suoi valori ma soprattutto della sua psiche, poiché nella psiche dell’uomo moderno si stanno combattendo le più aspre battaglie per la nascita di un nuovo tipo di umanità. Come l’eroe dai mille volti di Campbell, il nostro viaggio è iniziato ma, confidando ingenuamente nella forza della ragione, abbiamo la presunzione di controllare il nostro percorso, non accettandone l’indispensabile quantità di sottomissione alla sofferenza.
Nella nostra epoca l’identità personale è al centro del più vasto movimento di ego centratura di massa, subdolamente e dolosamente stimolato dai mezzi di informazione. Non solo, esistono sempre più istanze per il riconoscimento per “via giudiziaria” della propria identità. Questa tensione all’identità, dal mio punto di vista, però non riguarda l’individuo e il suo naturale processo di individuazione psicologica, quanto le autorità che attraverso il riconoscimento dell’identità fortificano il loro potere, allargando abusivamente il loro ambito di controllo allo spazio fisico - biologico dell’individuo. Un’azione perpetrata sotto la propaganda di una scienza assurta a ruolo di religione - antidoto al dolore. Un'azione articolatissima e ingegnosa quanto votata al suo fenomenale fallimento. L’identità è un processo personale, il cui riconoscimento si fonda sul rapporto con gli altri ma soprattutto nella scoperta che facciamo noi stessi nel nostro vivere.
L’identità di cui parliamo oggi è un’etichetta, una clusterizzazione che serve per organizzare, e quindi annientare, le forze naturali, dirette e caotiche derivate della somma degli individui. Ne è testimonianza la scomparsa delle avanguardie e del loro principio d’azione esoterico, rivoluzionario ed esplicitamente contrario all’approvazione generale. In questo consesso, nella società dello spettacolo, l’identità più ambita è quella dell’artista, poiché in questo archetipo viene individuata la libertà della creazione coniugata all’ampio successo sociale. Artisti vogliono esserlo tutti, per sensibilità, per passione, per vocazione. Ma non intendono esserlo perché ne hanno una diretta e continua pratica, ma perché ricevono questo riconoscimento dal giudizio comune. L’arte d’oggi sembra assurgere a ruolo di compensazione dell’autostima sabotata da un sistema fondato sulla omologazione totale di ogni ambito dell'esperienza umana.
L’identità che il giudice, Facebook, Instagram, i miei amici o i miei colleghi devono riconoscermi non riguarda la vita per come la vivo ogni giorno ma per come dovrei viverla, per come gli altri mi devono percepire.
Cosa possono entrarci questi argomenti con le furiose macchie di colore di Tetsuo Miyakoshi? L’indistinto, il non spiegato è il linguaggio libero sfugge alla normazione, alla definizione. Proprio nel mio ruolo di critico e nel dibattito culturale italiano, spesso mera ripetizione di superficiali questioni “alla moda”, ho trovato il centro dell’archetipo del controllore, del giudice, del censore che è "l’ombra" del mio essere, invece, messaggero positivo e propulsore di idee nuove e visioni inedite. L’arte in quanto espressione ha libertà totale, libertà di essere giudicata e capita personalmente, come fatto intimo individuale, prima che come scuola, dottrina e manifestazione di potere.
Nel mondo artistico d’oggi le etichette sono fondamentali, nulla fa tremare i polsi quanto l’inaspettato, l’incerto e il contrario del senso comune e la sua ipocrita ciabattante morale liberaloide. L’arte d’oggi è ispirata dai telegiornali e delle mode dell'infointrattenimento, è cioè figlia di operazioni di educazione di massa, di propaganda. L'arte non guida ma segue e ripete acriticamente il modo di vivere del mondo, letteralmente la sua estetica.
Non sono giapponese è un gioioso manifesto contro l’identità come valore autonomo del proprio agire, come carro davanti ai buoi del proprio lavoro. Un titolo provocatorio, ironico, libero che vuole rispondere alla luce gioiosa, gaudente e disinibita che io sento al fondo della mia arte e nella parte migliore di me stesso. Tetsuo Miyakoshi è diventato il contenitore della mia attività nel campo della pittura, del design e della fotografia. Una sorta di brand che segue la scia di personaggi e di identità che ho creato e indossato nel corso degli anni: The Holy, Samantha Dark, Warburg Club, Johnson W. Ferrari, Max Seneca, Altan Naran etc. Metamorfosi, trasformazioni della mia esperienza esistenziale, eco metastorico della ambiguità del mio nome anagrafico.
Qualche anno fa mi presentati alla Prefettura per avere accorpato al mio primo nome, Giovanni, anche il secondo, quello di Mosè che posto dopo la virgola, per le assurde leggi dello stato italiano, era stato tolto dai miei documenti, tranne quelli relativi alle tasse (ovviamente). Il funzionario della Prefettura mi chiese di dimostrare, con testimonianze giurate e quanto più materiale pubblicitario, l’effettiva corrispondenza tra me e Mosè Previti. Raccolsi numerose dichiarazioni di persone che testimoniarono la mia identità ma, infine, decisi di lasciare andare nel mondo un'ulteriore versione di me stesso, felice di moltiplicare ancora una volta le possibilità di essere frainteso, di approdare a nuove metamorfosi e a nuove esaltanti scoperte.
[1] Sono un bassista attivissimo fin dall’adolescenza. Ho creato e militato in diversi progetti, alcuni dei quali (Big Mimma) anche molto longevi e ricchi di soddisfazioni. [2] L’inchiostro tipografico è un meraviglioso medium che si caratterizza per la sua altissima viscosità, la brillantezza naturale e la straordinaria valenza plastica che scaturisce dal rapporto con la superficie delle carte, specialmente quelle martellate, plastificate etc. [3] I rapporti con il Giappone finiscono qui. Pur ammirando la cultura giapponese io non ne sono un conoscitore, piuttosto un istintivo amante, ben contento di non trasformare questa infatuazione nella dipendenza da una conoscenza sistematica.
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